STRADE.
Strade che non finiscono mai, piste sterrate, polvere che ti entra ovunque, la senti nel naso, nei vestiti, nei capelli. Strade che scompaiono, diventano solchi dove la jeep procede obliqua a passo d’uomo. Incrociamo enormi carri trainati da zebù, camion carichi all’inverosimile di merce e persone, pullmini, i taxi brousse come li chiamano qui, stipati di passeggeri e bagagli. Dai sacchi che trasportiamo sul tetto inizia ad uscire il riso, ci fermiamo. Perdiamo una valigia, fortunatamente Rita se ne accorge, si torna indietro a raccoglierla. Entriamo in una nube scura, raccolto distrutto dice l’autista, cavallette, chi se le immaginava, così tante così nere che si frantumano sui finestrini. Fumo, dapprima all’orizzonte poi ne siamo circondati, il fuoco arriva fin quasi ai bordi della strada. Qui bruciano la terra, chissà per quale motivo ci chiediamo. È buio e ancora non siamo arrivati.
VILLAGGI.
Appaiono e scompaiono lungo la strada, alcuni grandi e chiassosi, altri così minuscoli, assolati nella brousse, nascosti nella foresta, isolati come quello di Anivorano est, sulla costa orientale dove fino a 5 anni fa ci si arrivava solo in barca risalendo il fiume. Intrisi di una dignitosa povertà che li accomuna tutti. Come lo scorrere delle giornate: all’alba brulicanti di persone, mercati, voci, colori; sonnolenti, quasi assopiti nelle ore più calde; allegri alla sera, al rientro delle mandrie sullo sfondo degli infuocati tramonti africani.
VOLTI.
Tanti, tantissimi. Visi segnati, da fatiche, malattie, privazioni, volti di disperazione e volti di riconoscenza. Visi che ti sorridono. A volte scorrono veloci, alcuni incrociano il nostro sguardo. Uomini e donne da noi diversi, a noi estranei fino a quando i nostri occhi affondano nei loro, allora ci rendiamo conto che non è così.
LE SUORE.
I grandi insostituibili eroi del Madagascar. Le loro interminabili attivissime giornate. Instancabili e determinate portano avanti la loro missione giorno dopo giorno, sempre con lo stesso entusiasmo. Credono in ciò che fanno, credono nel Madagascar. Stimate ed apprezzate da tutti, amate ovunque andiamo. Quante cose ci hanno spiegato che ci sembravano incomprensibili: le quotidiane code davanti alle carceri, le chiassose processioni nei villaggi, la terra che brucia. E quante volte avranno sorriso della nostra benestante mentalità europea. Maestre di vita, grandi esempi da portare con noi. Tanti posti, calorose strette di mano, abbracci forti.
È UN TURBINIO DI LUOGHI, INCONTRI, EMOZIONI.
LE SCUOLE.
Le “nostre” scuole, quelle che esistono grazie a Giorgio, quelle costruite grazie agli aiuti di altre generose associazioni. I bambini ci accolgono festanti, le strette di mano rassicuranti dei maestri, la riconoscenza negli sguardi dei genitori. Scolaretti diligenti e zelanti ci mostrano fieri i loro quaderni, intrecciano danze malgasce, ascoltano incuriositi ed attenti quando raccontiamo del lungo viaggio che ci ha portati lì e dell’importanza della scuola. Ma questo sembrano saperlo già, sono bambini cresciuti in fretta, senza infanzia e senza giocattoli.
I DISPENSARI.
Oasi nel deserto. Al nord quello superefficiente di Suor Luciana di Ambatondarzaka dove incontriamo i volontari ottici al lavoro. Poi Anivorano est, affollatissimo, quì la gente arriva dopo giorni di cammino nella foresta. Tanti altri ancora, dove anche il nostro minimo sostegno è fondamentale. Infine, Mahabo, poco distante dal canale del Mozambico, il nostro ultimo grande progetto. Dove durante il nostro soppraluogo di due anni fa c’era solamente un terreno incolto, oggi, non senza un pizzico d’orgoglio, le suore ci mostrano l’edificio in ogni suo anfratto. Ben strutturato e funzionale, ancora fresco di malta e pitture. Sarà operativo da febbraio 2015 e servirà i tantissimi villaggi sparsi nella zona di Morondava.
LE CARCERI.
Il cancello delle prigioni di Ambato si apre lento ed entriamo con una sensazione di timore. Poi li vedi, ammassati all’inverosimile, sguardi apatici e tristi, tanti giovani, giovanissimi dagli occhi miti. Vorresti essere altrove. La maggior parte non sono criminali, ci spiega suor Luciana, mentre ci mostra l’infermeria di cui si occupa giornalmente, sono solo degli indifesi, vittime dell’inefficienza della giustizia malgascia. Qualcosa per loro si può fare, Suor Luciana ha già un’idea che aspettava solo un piccolo sostegno finanziario. In Madagascar il pasto di un carcerato consiste in soli pochi grammi di manioca, sopravvivono grazie all’aiuto dei famigliari che ogni giorno cercano di portare loro qualcosa da mangiare, a volte non ci riescono.
LE MENSE.
Quanta allegria nei bimbi davanti al loro abbondante piatto di riso, qualcuno infila in tasca la propria banana per il fratellino più piccolo a casa, quanta tenerezza. Per molti di loro quello della mensa scolastica è l’unico pasto della giornata. Le suore lo sanno, per questo, ci dicono “cerchiamo di variare il più possibile, una buona alimentazione li farà riuscire meglio a scuola”.
Il CIELO.
In Madagascar sembra più grande, in modo particolare di notte. Una sera a Moramanga con padre Nicola usciamo a guardare le stelle, che spettacolo, quante se ne vedono da quaggiù! È la magia della notte malgascia ci dice scherzoso, poi nel buio ci indica la Costellazione delle Scorpione, brilla nitida proprio sopra di noi, non l’avevamo mai vista. Quanto è semplice a volte fare un regalo e quanti regali ci fa la natura. Arrivano le prime piogge. Attese, foriere di fertilità. Per noi è il momento di ripartire.
A presto “Isola Rossa”.
Caterina