Sto per partire per il mio secondo viaggio in Madagascar e mentre preparo le valigie – quelle enormi valigie che non so mai come riuscirò a trascinarmi dietro – mi tornano alla mente tante situazioni vissute, tante persone incontrate, tanti volti prima sconosciuti e che ora fanno parte del mio pensare.
Ma un volto fra tutti continua a passarmi davanti, spesso, spessissimo. Si tratta di Jean Pierre, uomo, padre, fratello. La sua storia è sicuramente simile a quella di tante altre persone che vivono a Tanà, in quei rioni di periferia, poveri, sporchi, ma vivi, che brulicano di bambini, mamme giovanissime, ragazzi nullafacenti, anziani seduti sulla soglia di casa in attesa, in attesa di che cosa? Ma lui mi è entrato dentro e non mi ha più lasciata. L’ho incontrato durante il quotidiano giro di Suor Mariangiola per questo quartiere. Mitica Suor Mariangiola, 78 anni, 45 di Madagascar, umile, piccola suora sempre in movimento, per gli altri. Tutte le mattine porta medicine, riso e altro ai più poveri, ma soprattutto porta il sorriso e la certezza che non sei solo, che qualcuno ti ama, e cerca di condividere il tuo soffrire, ma anche le tue gioie, semplicemente condividere il tuo esistere. E quella mattina anche noi avevamo il privilegio di accompagnare Suor Mariangiola e conoscere queste persone. Sì, dico privilegio, perché è in quelle situazioni che tocchi con mano la realtà del vivere, l’essenzialità della vita, del sorriso, dell’amore, del donarsi in modo totale e puro. Dunque, dicevo Suor Mariangiola ci racconta la storia di Jean Pierre: la famiglia, la malattia, il dolore, forse anche la disperazione, la gamba ormai in putrefazione amputata e poi il dono delle stampelle, fatto da chi non te l’aspettavi, una bella storia di solidarietà e amore, che da tutto questo è nata. Ascolto con attenzione e intanto i nostri occhi si incrociano…e non sono tanto le parole che mi arrivano alle orecchie quasi ovattate a scuotermi, quanto la sua persona, la sua dignità nella povertà assoluta, la sua forza nell’affrontare la malattia che lo ha portato a non poter più sostenere la sua famiglia e in fondo ai suoi occhi quel barlume di speranza, di fiducia nella vita e nel prossimo, nonostante tutto. Quella luce, che a me è sembrata abbagliante, e che so, solo la morte avrebbe potuto spegnere.
Ritorniamo alla partenza: mentre preparo le valigie, mi sento di preparare un pacco speciale per lui. Una camicia, una coperta, un berretto, piccoli doni, che non gli avrebbero cambiato la vita, ma che in quel momento mi sembrava prezioso fare.
Atterriamo a Tanà, 24 ore di viaggio, 2 ore per uscire dalla dogana e finalmente andiamo a dormire nella nostra piccola stanzetta dalle Piccole Serve. Ma nonostante la stanchezza metto da parte il pacchetto e pregusto l’emozione di rivedere Jean Pierre e portarglielo. A colazione, il mattino dopo, stringo il mio sacchetto e aspetto Suor Mariangiola per poi andare con lei, giù nella bidonville. Ma quando le chiedo di Jean Pierre, leggo sul suo viso lo stupore prima e l’imbarazzo poi e capisco subito, prima ancora che mi dica “Jean Pierre è morto 3 mesi fa”.
Sento amaro in bocca, lo stomaco si ribella, sono triste, ma penso al suo sorriso, ai suoi occhi e sento che lo sto abbracciano più forte che mai. E l’energia che mi arriva da un senso al mio vivere. Mentre il mio povero pacco mi rimane inutile e muto tra le mani.