Stiamo andando verso sud, la nostra meta è Fianarantsoa. Abbiamo trovato un passaggio con Padre Felipe Bustinza, che, rientrato dalla Spagna dopo un periodo di malattia, si appresta a raggiungere la sua diocesi in un popoloso quartiere di Fianaratsoa.
Nessuno parla. Il paesaggio ci rapisce, un susseguirsi di colline rosse, interrotte da gruppi di ordinate casette bianche con il tetto di paglia. Attraversiamo coloriti villaggi, con le strade animate di gente e mercati dove si vende di tutto. Bimbi bellissimi ci salutano sorridenti.
All’improvviso vediamo in lontananza nube grigia, dopo qualche chilometro siamo avvolti da una coltre di fumo, ai bordi della strada focolai d’incendio ovunque. “Ecco ci siamo” dice padre Felipe “bruciano di nuovo”. In Madagascar, ci spiega ettari ed ettari di terreno vengono bruciati ogni anno con enormi danni per il Paese che si sta in questo modo inaridendo e desertificando. Bruciano per ribellarsi allo stato che lo proibisce, per dispetto, perchè le antiche credenze popolari vedevano le nubi scure foriere delle agognate piogge, bruciano nel vano tentativo di rendere la terra più fertile. Una vera piaga.
Ha un tono mesto. Poche frasi e sappiamo la sua storia.
È nato a Biarriz, sulla Costa Cantabrica, all’epoca una Spagna povera ed isolata, avara di risorse, sferzata dai venti atlantici per gran parte dell’anno, forse per questo ha un fisico possente ed uno sguardo indurito. Partito in nave per il Madagascar 50 anni fa, dopo varie assegnazioni è approdato a Fianarantsoa, dove sta svolgendo la sua opera da oltre 20 anni.
“Sono vecchio e stanco, ho problemi agli occhi, i miei parenti hanno insistito perché rimanessi in Spagna, ma devo sistemare alcune faccende e salutare la mia diocesi”. Ha un’aria triste e provata.
“Ho amato questo Paese, l’ho visto sprofondare, non riusciamo a fare nulla. La situazione politica sta favorendo l’arretratezza. Istruzione, sanità, sistema giudiziario nulla funziona, in tante realtà sono addirittura inesistenti”.
Poi di nuovo silenzio, questo senso di impotenza gli impedisce di parlare oltre.
Arriviamo in città che è buio, ci accompagna dai Padri Oblati, dove pernotteremo e si accomiata frettolosamente, ha voglia di stare da solo.
L’indomani mattina eccoci tutti all’inaugurazione della Scuola Elementare del suo quartiere appena ultimata. Grazie al contributo degli “Amici del Madagascar” il vecchio edificio è stato ampliato e le aule sono ora raddoppiate. Adesso con turni mattino e pomeriggio oltre 600 bambini potranno frequentarla. L’edificio è semplice ma ben strutturato e rifinito con cura. Padre Felipe ammira soddisfatto le aule spaziose con le grandi lavagne in cemento e l’impianto elettrico ad arte. Nel piazzale, ad accoglierlo, i bambini della sua parrocchia, tantissimi, tutti gli corrono incontro affettuosamente con i loro grandi sorrisi. I genitori e gli anziani fanno a gara a stringergli la mano per dargli il bentornato. Gli scolari più grandicelli hanno preparato una canzone di benvenuto che intonano orgogliosi.
Padre Felipe li guarda con tenerezza, alza lo sguardo serio verso la scuola e poi ancora oltre a scrutare i villaggi in lontananza. Una lacrima solca il viso del sacerdote, quel viso indurito da una vita di sacrifici e dedizione. Arrivano le mamme con un regalo.
A fine cerimonia si impossessa di noi, ci mostra la chiesa, il semplice ma coloratissimo parco giochi per i più piccini, ci porta a vedere la città, ci fa conoscere Padre Zocco con il quale collabora e che da anni gestisce l’ospedale locale. Ci parla del suo lavoro di cappellano del carcere, ce lo fa visitare il carcere, lì ci guardano stupiti, ci colpisce la loro aria innocua e lui ci aiuta a capire: “tutta buona gente, sono qui perché non hanno i mezzi per difendersi da accuse spesso infondate. Ma stiamo sostenendo negli studi un giovane volonteroso che si sta laureando, una volta avvocato sarà pronto a difendere i più deboli. A proposito, qui servirebbe una tettoia per riparare i parenti mentre attendono per portare il cibo ai famigliari carcerati e un canale di scarico, ci pensate?” E poi via a mostrarci orgoglioso il centro ricupero detenuti con falegnameria e fattoria. “Funziona alla grande e il contributo della vostra associazione qui è stato molto prezioso!”
Oggi non smette di parlare e di raccontarci il suo far nulla.
È sera ed è arrivato il momento del commiato. “Allora Padre, quando pensa di rientrare in Spagna?”, chiediamo curiose. Silenzio. “Il mio posto è qui” dice con fermezza fissandoci negli occhi. Lo avevamo intuito.
“Grazie” aggiunge. Una forte e calorosa stretta di mano prima di dileguarsi nel suo mondo che lo attende.
Domani saremo nuovamente in viaggio verso nord, accompagnate dal suo ricordo ripenseremo a quegli intensi momenti.
Padre Felipe, un grande uomo, è stato bello incontrarlo. Lui e il suo esempio d’ora in poi faranno parte di noi.